Beck is that kind of artist that can be as mainstream as Lady Ga Ga, and yet keep an indie attitude like Jack Black when he performs in Tenacious D. No wonder the guys are buddies.
Beck is also the first person I've ever heard of being born a scientologist. His mum and dad have been early followers of the Hubbard, and hence baby Beck was brought up according to the rules of Dianetics.
This has probably nothing to do with the great and varied music he's been delivering since the early 1990s, and certainly nothing to do with Guerolito, a second version of his comeback album Guero. The lullabies, ballads and anti-folk-once-removed songs of his 6th album are completely remixed and revamped by people such as Air, Boards of Cananda, and Diplo.
It's totally fucked up, you'll love it.
venerdì 14 ottobre 2011
Beck «Guerolito» [2005]
lunedì 10 ottobre 2011
Ry Cooder «Pull up some dust and sit down» [2011] VS Mariachi El Bronx «II» [2011]
Nella migliore tradizione dei soundclash di Ciotoni, eccovi servito un duello a colpi di chitarre latineggianti, tradizioni rivisitate e fottuto rock'n'roll. Sono due dischi usciti negli ultimi mesi di questo 2011.
Giusto il tempo di mandare giù un cicchetto di torcibudella e cominciano i combattimenti. Volteggia in aria la monetina, un quarto di dollaro per decidere chi salirà prima sul palco.
E' croce. Avanti il primo.
Ad aprire il contest ecco Ry Cooder, vecchia volpe della slide guitar. Molti di voi lo ricorderanno per la colonna sonora di «Paris, Texas», cui hanno fatto seguito le collaborazioni coi Rolling Stones e - più di recente - una trilogia sulla storia sotterranea della California. Potete giurarci amici, quel vecchio satanasso del buon vecchio Ry, mi prenda un colpo, è cieco di un occhio ma che ha la vista lunga. E sforna questo album, un concept dedicato alla crisi che attacca i banchieri («Almeno Jesse James non prendeva le case alla gente»), lesuona agli speculatori e rivendica il potere per i Nostri (il brano dal titolo «John Lee Hooker for president» è tutto un programma).
Ma passiamo agli avversari. Servirebbero tutte le botti del reggimento di stanza a Santa Fe per dissetare questi maldidos... Peste! I nostri sfidanti sono giovani, sfrontati e ridanciani. Ecco che arrivano agitando i loro guitarones e strisciando gli stivaloni sulla dannata polvere di questa terra bruciata dal sole.
Sono i Mariachi El Bronx. Fino a qualche anno fa suonavano hardcore in quel di Los Angeles, poi si sono convertiti sulla via di Tijuana e hanno preso a suonare musica mariachi, con rispetto e voglia di sperimentare. Questo è il loro secondo album (del primo disco abbiamo già parlato qui). Hanno fatto progressi e si sono ormai impadroniti del genere.
Giusto il tempo di mandare giù un cicchetto di torcibudella e cominciano i combattimenti. Volteggia in aria la monetina, un quarto di dollaro per decidere chi salirà prima sul palco.
E' croce. Avanti il primo.
Ad aprire il contest ecco Ry Cooder, vecchia volpe della slide guitar. Molti di voi lo ricorderanno per la colonna sonora di «Paris, Texas», cui hanno fatto seguito le collaborazioni coi Rolling Stones e - più di recente - una trilogia sulla storia sotterranea della California. Potete giurarci amici, quel vecchio satanasso del buon vecchio Ry, mi prenda un colpo, è cieco di un occhio ma che ha la vista lunga. E sforna questo album, un concept dedicato alla crisi che attacca i banchieri («Almeno Jesse James non prendeva le case alla gente»), lesuona agli speculatori e rivendica il potere per i Nostri (il brano dal titolo «John Lee Hooker for president» è tutto un programma).
Ma passiamo agli avversari. Servirebbero tutte le botti del reggimento di stanza a Santa Fe per dissetare questi maldidos... Peste! I nostri sfidanti sono giovani, sfrontati e ridanciani. Ecco che arrivano agitando i loro guitarones e strisciando gli stivaloni sulla dannata polvere di questa terra bruciata dal sole.
Sono i Mariachi El Bronx. Fino a qualche anno fa suonavano hardcore in quel di Los Angeles, poi si sono convertiti sulla via di Tijuana e hanno preso a suonare musica mariachi, con rispetto e voglia di sperimentare. Questo è il loro secondo album (del primo disco abbiamo già parlato qui). Hanno fatto progressi e si sono ormai impadroniti del genere.
domenica 2 ottobre 2011
Mingus, Hawes, Richmond, «Three» [1957]
Una incisione del tutto peculiare di Mingus, a fianco del suo fidato batterista Dannie Richmond, incontra un vecchio sodale dei tempi del be-bop: il pianista Hampton Hawes. A differenza di altre incisioni in trio, qui Mingus non egemonizza le procedure del trio, si esibisce in numerosi soli, ma rispetta la costruzione melodica e il grande senso dello swing di Hawes. Tra tutte le tracce svetta una straordinaria versione di Laura, tempo medio, molto swingante, ma assolutamente touching, l'accompagnamento di Hawes al solo di Mingus la dice lunga sull'energia e la quadratura metrica del pianista. Da manuale il tema e il solo di Mingus in I can't get started e la sua intro in Summertime, pezzo preso a tempo sostenuto, che con il pedale di intro rende il tutto molto peculiare. Mi dispiace solo per le casse del vostro computer, per l'mp3 che taglierà le frequenze del piatto di Richmond, come fare a gustare la nuvola di swing del batterista? Un'altra triste conseguenza dell'avvento dell'informatica.
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